Ha senso nel mondo moderno la riscoperta della spiritualità d'oriente?
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venerdì 13 novembre 2020
Ha senso nel mondo moderno la riscoperta della spiritualità d'oriente?
giovedì 12 novembre 2020
ESICASMO: Meditazione e preghiera contemplativa
ESICASMO:
Meditazione e preghiera contemplativa
Oltre l' apatia e la ataraxia. Dopo il periodo nel quale impervesava la cultura new-age, e dove vari "maestri" proponevano percorsi di perfezione legati alla tradizione buddista o orientale, non è stato valutata appieno la tradizione monastica Ortodossa. Nella tradizione monastica Ortodossa , cerchiamo di capire il grande valore dell'esicasmo. Si parla di una meditazione e di una "preghiera del cuore" La Preghiera del cuore, radicata nel Nuovo Testamento, viene assunta da una «corrente» propria della spiritualità orientale antica che è stata chiamata esicasmo. Il nome proviene dal greco hesychìa che significa: calma, pace, tranquillità, assenza di preoccupazione. L'esicasmo può essere definito come un sistema spirituale di orientamento essenzialmente contemplativo che ricerca la perfezione (deificazione) dell'uomo nella unione con Dio tramite la preghiera incessante. Tuttavia ciò che caratterizza tale movimento è sicuramente l'affermazione della eccellenza o della necessità della stessa hesychia, della quiete, per raggiungere la pace con Dio. In un documento del monastero di Iviron del monte Athos, si legge questa definizione: «L'esicasta è colui che solo parla a Dio solo e lo prega senza posa». Gli esicasti, inserendosi nella tradizione biblica, esprimeranno l'esperienza della preghiera. contemplativa attraverso l'invocazione e l'attenzione del cuore al Nome di Gesù, per camminare alla sua presenza, essere liberati da ogni peccato e rimanere nel dolce riposo di Dio in ascolto della sua parola silenziosa. La storia dell'esicasmo inizia con i monaci del deserto d'Egitto e di Gaza. «A noi, piccoli e deboli, non ci resta altro da fare che rifugiarci nel Nome di Gesù», dice uno di loro. Si afferma poi al monastero del Sinai, con san Giovanni Climaco. Un esponente di spicco è sicuramente Simeone il Nuovo Teologo. Rinascerà al Monte Athos nel sec. XIV. Quiete, solitudine e silenzio interiore, che viene raggiunta attraverso la solitudine e il silenzio esteriore, si presenta tuttavia come un mezzo eccellente per raggiungere l'orazione ininterrotta. il fine dell'unione con Dio nella contemplazione, attraverso la preghiera . In quanto mezzo e non fine l'esichia va distinta sia dalla apàtheià degli Stoici, intesa come assenza e liberazione dalle quattro passioni fondamentali, la tristezza, il timore, il desiderio e il piacere; sia dall'ataraxia degli Epicurei,che consiste nella libertà dell'anima dalle preoccupazioni della vita.
missione san Efisio - Cagliari
giovedì 30 luglio 2020
Gesù e i suoi fratelli
sabato 4 luglio 2020
Comitato per la Glorificazione di Ugo Bassi (sacerdote, patriota, garibaldino)
Il l° gennaio del 1849 Pio IX in una enciclica diretta ai sudditi, in difesa del proprio potere temporale, dichiara scomunicati tutti coloro che, in qualsiasi modo, si adoperino contro di esso. I circoli popolari aprono liste di arruolamento di militi in difesa del nuovo governo romano e Ugo Bassi prende immediatamente posizione pubblicando un opuscolo "Della scomunica e più altre cose de' tempi nostri" che desta un vasto interesse. L'enciclica papale ha gettato il più profondo turbamento nel clero, negli ambienti militari e nella amministrazione, e in tutti gli strati della popolazione. Per rispondere agli interrogativi che angosciano tante coscienze, appassionatamente - e poco realisticamente - Ugo Bassi si ostina a sostenere che il Papa del 1846 e '47 non può aver mutato animo e che il decreto di scomunica gli è stato estorto dai retrivi che lo circondano; gli sembra assurdo che si possa insistere su questa via: "...scomunicare un popolo vorrebbe dire seminarvi l'anarchia e la guerra civile".Egli crede che la costituente romana "richiamerà il Papa, ma a condizione solenne di gridare la guerra all'austriaco e liberare la Lombardia e Venezia". Se il Papa non accetterà, si andrà con Cristo: "Egli ha detto: il mio reame non è di questo mondo... Egli ha detto non volere, che i suoi discepoli facciano a modo dei re e dei tiranni ... hanno detto che noi dobbiamo amare i fratelli oppressi e afflitti meglio del padre e della madre, non che meglio del principe qual si sia... Noi per la redenzione de' veneti e de' lombardi daremo la vita nostra... Dio ne benedice: e se Dio ne benedice, qual uomo, qual pontefice...ne può maledire! ... ". Come si vede non si può certo parlare di un vero e proprio pensiero politico del Bassi, ma subito colpisce la sua sincerità, il suo disinteresse, il suo amore per gli oppressi disposto a tutto, la sua ansia di collaborare fattivamente alla unificazione di un paese asservito allo straniero, di vederlo liberamente governato. La reazione dei clericali conservatori non è descrivibile: poesie di scherno e lettere anonime diffamanti circolano in Bologna, ma a suo conforto sta l'appoggio e la stima affettuosa del provinciale dei Barnabiti, padre Paolo Venturini, filologo di grande valore, insegnante aperto e preparato, italianissimo di sentimenti. L'annuncio della proclamazione della Repubblica Romana, giunto a Bologna l'11 febbraio non commosse un gran che la cittadinanza, ma Ugo Bassi preso da acerbo sdegno per l'ambiente che lo circondava, maligno ed inerte per la gran parte, decise di raggiungere le truppe del generale Ferrari, che a Terracina si disponevano a combattere contro il generale Zucchi, rimasto fedele al Papa. La notizia della sua partenza fu accolta con sollievo dal cardinale Oppizzoni, che quotidianamente era subissato di denunce e proteste contro quel frate che non indossava più l'abito barnabitico, ma avendone conservato solo il collare, usava una specie di divisa militare, con calzoni e tunica nera, una croce tricolore cucita sul petto, un Crocefisso infilato nella cintura, e che frequentava locali pubblici con i soldati. Il disporsi a combattere contro le truppe pontificie in difesa della Repubblica Romana, non è, per la coscienza del Bassi, un atto di ribellione: il pontefice è venuto meno - e per sempre - al suo impegno di benedire l'Italia; un cattolico è ormai legato al suo pontefice solo religiosamente arguisce Ugo Bassi , non più politicamente.
Ugo Bassi, postosi al di là di ogni corrente e di ogni partito, sacerdote integerrimo, tutto preso dall'evangelizzazione e che tuttavia combatte senza incertezze contro il Papa, è ormai un personaggio difficile da capire anche per gli stessi amici. Il 4 marzo egli è finalmente a Roma. Qui trova un ambiente eterogeneo, uno scontrarsi di opinioni e speranze, e, per quanto sia bene accolto, diventa insofferente e teso. Gode della sconfitta subita a Novara da Carlo Alberto di Savoia, "giusta punizione dei suoi errori", e pubblica un indirizzo a Pio IX, criticando aspramente la sua decisione di invocare l'intervento straniero: " ... Ma voi vel sapete, o Santo Padre, ... che noi non vi abbiamo cacciato, ma voi n'avete lasciato in abbandono all'anarchia e alla morte: vel sapete che richiamato due o tre volte n'avete avuto onta e dispregio... E poiché gli altri re, quando non fanno il bene del popolo, ma il male, quando abbandonano il governo e lasciano l'anarchia, si cacciano o si depongono, così si può fare di Voi come in altri senza peccare nella vostra Sacrosanta Persona. Cristo solo, o Santo Padre, Cristo solo, Salvatore del mondo, e non re, è tutto divinità: ma chi dice che il Papa è Dio è un pagano. Quindi... chi contraddice alla persona di vicario del Cristo nel Papa, contraddice al Cristo, ma chi alla persona di re nel papa, quando il Papa sacrifica al re i popoli, contraddice all'ingiustizia, all'umanità, al male... ". Dopo un periodo di forzata inattività, finalmente viene nominato cappellano della legione italiana comandata da Giuseppe Garibaldi, che raggiunge a Rieti il 4 aprile. L'eco di questo primo emozionante incontro è in una lettera scritta in quei giorni da Ugo Bassi: "...Garibaldi è l'eroe più degno di poema, che io sperassi in vita mia di vedere. Le nostre anime si sono congiunte come se fossero state sorelle in cielo prima di trovarsi nelle vie della terra". E qualche giorno dopo, da Anagni, confermerà: "...Garibaldi! Questi è l'eroe cui cercando andava l'anima mia. L'Italia è Garibaldi... ". Predica alle popolazioni e ai legionari; per far cosa grata a Garibaldi sveste il nero abito barnabitico e indossa l'uniforme rossa degli ufficiali della legione. Non era facile la vita di un sacerdote in mezzo ai volontari, provenienti da ogni dove rotti a tutte le soperchieria della guerra, intemperanti nel linguaggio, irriguardosi spesso dei diritti dei civili. Bassi ne conquistò l'animo dividendo con loro ogni ora della giornata, l'ozio e le marce, i pericoli e le soddisfazioni. Incurante di sé, sempre pronto a rincuorare gli afflitti, a soccorrere i feriti, a benedire i morenti ad esporsi disarmato dove infuriava la battaglia, sapeva anche far rispettare la parola di Dio, difendere la giustizia. Era "la coscienza morale" della legione. Il 27 aprile i garibaldini giunsero a Roma. Tre giorni dopo Ugo Bassi partecipò al vittorioso combattimento contro i francesi a porta S. Pancrazio, cavalcando tra i volontari. Ebbe ucciso sotto di sè il cavallo e fu catturato dai nemici per non essersi voluto allontanare da un ferito rimasto sul terreno della battaglia. Rilasciato in libertà quasi subito, si distingue per coraggio presso Palestrina, l'8 maggio, in scontri con pattuglie napoletane che tenta addirittura di arringare. L'aggressione francese alla città di Roma è improvvisa. A Villa Corsini il 3 giugno gli Italiani scrivono una fulgida pagina di eroismo: Ugo Bassi si offre più volte come portaordini in posizioni esposte, raccoglie i feriti, conforta i moribondi, sordo ad ogni invito alla prudenza, fedele ad un suo motto: "In ultimo se si dèe cadere si cada da forti; o martirio o vittoria!". Fino alla caduta di Roma andò cercando fatíche e sacrifici: negli ospedali e in prima linea, dovunque ci fosse una sofferenza là era Ugo Bassi e tale era la tranquillità della sua coscienza che nelle brevi ore di riposo attendeva al suo poema "La croce vincitrice" giunto al 33' canto, da cui si aspettava alta gloria poetica. In realtà si tratta di un'opera inorganica, che risente delle emozioni, dei mutamenti d'animo dell'autore. Il giorno 30 i Francesi assalirono le mura di Roma con tutta la potenza della loro artiglieria. Tra i morti, Ugo Bassi ebbe lo strazio di annoverare anche il prode Luciano Manara, di cui era diventato amico carissimo; prima che i Francesi vittoriosi entrassero nella città, egli volle che i funerali del caduto assurgessero a valore di simbolo. Nella chiesa di S. Lorenzo in Lucina, gremitissima di gente commossa, pronunciò l'elogio funebre, profetizzando per sé prossimo il martirio. La sera partì da Roma con la legione dei volontari garibaldini. Con abilità e fortuna Garibaldi riuscì ad eludere più volte gli inseguitori francesi, toscani e austriaci, benché l'estate torrida, le difficoltà del cammino per contrade inospitali fiaccassero glí uomini. Anche Ugo Bassi, che faceva parte dello stato maggiore, era sfinito e febbricitante, ma si sforzava di essere di esempio agli altri. L'odissea della legione garibaldina durò un mese: attraverso il Lazio, la Toscana e le Marche il 31 luglio i superstiti giunsero ai piedi di S. Marino. Da ogni parte si avvicinavano truppe austriache, erano laceri, affamati, demoralizzati. Ugo Bassi fu mandato come parlamentare al reggente sammarinese Domenico Belzoppi, a chiedere il permesso di passare per il territorio della repubblica e viveri. Il Belzoppi dispose che i viveri richiesti fossero consegnati ai garibaldini, ma al confíne della repubblica, che nessuno doveva violare. Nella notte, però, Garibaldi, vistosi irrimediabilmente circondato, diede ordine ai suoi uomini di entrare nel territorio di S. Marino. Qui giunto li sciolse dall'impegno di seguirlo e si dichiarò disposto alla resa. Mentre fra la reggenza di S. Marino e gli austriaci intercorrevano trattative per la sorte dei legionari, Ugo Bassi assisteva i feriti ospitati nel convento dei Cappuccini. Preso dal presentimento di essere vicino alla prova suprema, chiese di confessarsi. Al sacerdote che gli diede l'assoluzione lasciò il vasetto dell'olio santo avuto da Padre Gavazzi, e un breviario. Intanto il generale austriaco Hahne aveva fatto pervenire un testo con nove punti preliminari circa la resa. Dopo averli vagliati, Garibaldi vi scrisse sotto la seguente risposta: "Le condizioni imposte dagli Austriaci sono inaccettabili, e perciò sgombriamo il territorio". Diede immediatamente l'ordine di partenza a circa 250 uomini, con cui intendeva sgusciare fra le maglie dell'accerchiamento nemico e dirigersi quella notte stessa al mare. Ugo Bassi, immerso nelle strofe del suo poema, le ultime, non si avvide di nulla. Fu Garibaldi che, accortosi della sua assenza, lo mandò a chiamare e sia pure con qualche difficoltà il Barnabita riuscì a raggiungerlo. All'alba dell' agosto il generale Hahne si accorge con somma indignazione di essere stato giocato e mentre cerca di individuare la strada percorsa dai fuggiaschi perde altro tempo prezioso. A Gatteo Ugo Bassi è riconosciuto da un reduce della difesa di Roma che generosamente - quanto inutilmente - gli offre un rifugio sicuro. Con l'aiuto di diversi patrioti romagnoli nella notte fra il l° e il 2 agosto i garibaldini giungono a Cesenatico. Qui sette soldati croati di guardia al porto sono arrestati da Ugo Bassi e da Anita Garibaldi; contemporaneamente si impedisce alla polizia e alle autorità pontificie di mettersi in moto. Il commissario di sanità marittima è costretto a requisire 13 imbarcazioni da pesca e a reperirne gli equipaggi. Alle tre di notte, dopo aver venduto i cavalli e raccolto provviste, i legionari cominciano a imbarcarsi; alle sei salpano, benché una forte marea ostacoli la manovra. Conducono con sé come ostaggi i croati e un brigadiere. Garibaldi vuole che Ugo Bassi salga nella sua stessa barca, dove sono anche Anita e il romano Cíceruacchio con i figli. Due ore dopo il governatore civile e militare delle legazioni, l'inflessibile generale Carlo von Gorzkowski entra in Cesenatico con le sue truppe e vede la piccola flotta ormai al largo. Furente dispone che tutta la costa fino a Venezia sia messa sotto rigoroso controllo e che il porto di Magnavacca sia presidiato da truppe dotate di cannoni: non deve sfuggire quel bandito che ha superato la sua stessa leggenda beffandosi, in quella marcia verso Venezia, di un esercito di migliaia di uomini perfettamente equipaggiati e comandati da esperti generali. La navigazione nella giornata calma e bella andò bene fino al pomeriggio; l'imbarcazione di Garibaldi precedeva le altre, mantenendosi vicino alla costa, dove l'acqua era bassa, ma verso le quattro del pomeriggio, nelle vicinanze di Goro, una goletta e un brick austriaci scorsero la flottiglia e si diressero verso di essa.
Caduta la notte, un meraviglioso chiarore lunare tradì i fuggiaschi: il brick, individuatili, si avvicinò e cominciò a sparare e a lanciare razzi. Varie imbarcazioni si arresero; solo cinque bragozzi, fra cui quello di Garibaldi, approdarono fra Magnavacca e Volano. Gli equipaggi reclutati a Cesenatico, terrorizzati, si abbandonarono alla fuga e anche i volontari si sparsero nelle zone circostanti. Accanto a Garibaldi e ad Anita morente rimangono Ugo Bassi, Giovanni Livraghi e G.B. Culiolo detto Leggero. Ma il gruppo è troppo numeroso, dà nell'occhio, quindi bisogna separarsi: Ugo Bassi e il Livraghi, disarmati, si dirigono verso Comacchio, dove contano di trovare certi conoscenti. Attraverso il bosco Eliseo arrivano a S. Giuseppe e di qui si portano alla Fossa della Fontana, dove ottengono di essere traghettati attraverso le valli da due fruttivendoli che li accompagnano a Comacchio, all'osteria della Lenza. Vi giungono verso le ore 11. Uno dei due fruttivendoli è convinto che l'uomo dalla lunga barba scura e dai calzoni rossi sia Garibaldi e comincia a dirlo in giro. Il nipote dell'ostessa riconosce Ugo Bassi e lo sollecita a partire perché nell'osteria possono entrare austriaci. Anche Livraghi insiste per andarsene, ma il Bassi non ne vuol sapere: è un prete, non ha fatto del male, è disarmato, perché dovrebbe fuggire? Altri patrioti corrono nell'osteria della Lenza per aiutare i due a nascondersi, ma ancora Ugo Bassi rifiuta; accetta solo di trasferirsi all'osteria della Luna per consumare un frugale pasto. Ormai però la gendarmeria pontificia è stata informata della presenza dei fuggiaschi: verso le undici e quarantacinque quattro carabinieri entrano nell'osteria della Luna per arrestarli. Nessuna resistenza è opposta dai due, che sono subito consegnati al comandante austriaco e chiusi in cella. Il Livraghi è perquisito e trovato disarmato, il Bassi è privato della borsa di cuoio che contiene solo oggetti d'uso personale e il manoscritto de "La croce vincitrice". Il vicario generale di Comacchio, mons. Domenico Feletti, informato dell'accaduto, si presenta con sollecitudine al comando austriaco e, in nome della curia, chiede il rilascio del Barnabita, protetto dal diritto canonico, ma l'ufficiale comandante risponde che in proposito deve chiedere istruzioni al generale Gorzkowski che, in qualità di governatore di Bologna con pieni poteri, ha completamente esautorato l'autorità pontificia. In particolare ha istituito due tribunali, lo statario e il consiglio di stato: il primo, sotto il quale ricadono tutti i reati politici "non conosce altra pena che la morte". Il 5 agosto, ricordando le precedenti disposizioni, il governatore pubblica un'ennesima notificazione in cui chiarisce che "sarà assoggettato al giudizio statario militare chiunque, scientemente, avesse aiutato, ricoverato o favorito il profugo Garibaldi ... ".Nella mattinata di quello stesso giorno, a Comacchio, Ugo Bassi viene brutalmente perquisito, benché sia un sacerdote. Ancora una volta mons. Feletti protesta energicamente e informa il cardinale Oppizzoni, il quale, mal scegliendo il momento, ha intanto reso pubblico un documento in cui, pur senza nomi, c'è una dura condanna dell'operato di Ugo Bassi e Alessandro Gavazzi come cappellani militari. Nel pomeriggio del giorno 5 i due prigionieri sotto scorta di una cinquantina di soldati austriaci, giunti appositamente da Ravenna, sono prelevati dal carcere di Comacchio e, avvinti in catene, su due vetture vengono trasferiti a Bologna. Qui, la dera del giorno 7 agosto, sono rinchiusi in un torre del parco di Villa Spada, sede del generale Gorzkowski. La notizia dell'arrivo di Bassi e Livraghi si sparge per la città in un baleno. Il fatto che essi siano stati tenuti separati dagli altri legionari garibaldini, che intanto erano affluiti, prigionieri, in varie carceri bolognesi, desta allarme e preoccupazione. La sorella Carlotta, angosciata, si precipita subito a Villa Spada, e a fatica ottiene di poter parlare, sia pur per breve tempo, con Ugo Bassi, che si sforza di consolarla e di mostrarsi sereno. Subito dopo quel penoso colloquio, egli e il Livraghi sono condotti alle carceri della Carità, per attendervi la sentenza. In fatto non vi fu alcun processo, neppure sommario. Il generale Gorzkowski, che il giorno 8 doveva rassegnare il governo di Bologna nella, mani del conte Strassoldo, per assumere altro incarico, volle ammonire con un "esempio" la popolazione a non far nulla in favore del "bandito" Garibaldi di cui si erano perse le tracce e dei suoi uomini. Distorse quindi la verità, accusando Ugo Bassi di detenzione d'armi e il Livraghi, suddito austriaco, di diserzione, e poiché questi reati erano puniti con la morte, ordinò la fucilazione dei prigionieri, da eseguirsi nel più breve tempo possibile, perché nessuno in città - la Curia o i Barnabiti - potesse intervenire e salvare la vita almeno del più prestigioso dei due. La mattina del giorno 8 agosto vengono convocati a Villa Spada due sacerdoti, don Gaetano Boccolini e Don Ludovico Paolo Casali, cappellani della chiesa di S. Maria della Carità, "per assistere due delinquenti che devono essere fucilati". Verso mezzogiorno, in carrozza chiusa e scortata da soldati, giungono i due prigionieri che sono accompagnati in una stanza della villa. Qui un ufficiale legge subito loro il decreto con la condanna a morte, poi li lascia con i due sacerdoti confortatori. A quel terribile annuncio Ugo Bassi era preparato: da mesi viveva in ambienti militari e la legge marziale gli era ben nota, e inoltre sapeva benissimo di essersi inoltrato per una via così inusitata per un italiano e ancor più per un sacerdote, che non poteva sperare clemenza da un uomo quale il Gorzkowski, tuttavia protestò fieramente la propria innocenza: "Aveva assistito i morenti sul campo, non aveva mai negato il soccorso neppure ai nemici, non era armato, come non lo era il suo compagno, non era reo .... " .. I Chiese di poter parlare con l'amico, Padre Paolo Venturini, ma ciò non era possibile, allora si rivolse a Don Gaetano Baccolini, che era turbatissimo e poi "raccoltosi alquanto in sé medesimo, siccome quegli che già era apparecchiato, si mise a ginocchioni e fece la sua confessione generale; la qual terminata, domandò il santo Viatico: ma dettogli che la distanza dalla chiesa e la strettezza del tempo non permetteva, alzò gli occhi al cielo, calcossi la mano sul petto e mandò un sospiro a Dio" (A. Bresciani). Dettò poi, perché fosse resa pubblica, la seguente dichiarazione: "Se mai si trovasse, in qualunque mio scritto, parola, proposizione, o massima qualunque che avesse offeso Pietà, Onestà, Religione, intendo e voglio ritratta, nel più valido ed efficace modo, e così pure intendo di qualunque parola o discorso detto in pubblico, od in privato, amando di riparare a qualunque scandalo, e di giovare al bene spirituale di chicchessia, poiché bramo e voglio morire da vero Cristiano". Intanto il Livraghi era caduto in uno stato di indescrivibile agitazione e gridava la sua rabbia e la sua innocenza; allora il Bassi a cui doleva infinitamente di non aver mai ascoltato i suoi consigli di prudenza e di averlo portato a morire, gli si avvicinò, e compiendo fino all'ultimo il suo ufficio di cappellano militare seppe trovare le parole che consolano e rendono forti. I due condannati diedero poi disposizioni per i pochi oggetti e il pochissimo denaro di cui disponevano. Ma l'ora incalzava. Incatenati ai polsi, furono fatti salire con i due sacerdoti su un carro militare circondato da soldati, e al rullare sordo dei tamburi furono condotti fino alla via della Certosa. Vicino agli archi 66-67 dovettero scendere. La commozione prese tutti i presenti. Padrone di sè fino all'ultimo Ugo Bassi salutò affettuosamente il compagno che doveva essere fucilato per primo: "Fra poco saremo congiunti" disse. In ginocchio presso il corpo inanimato del Livraghi, parlò ancora con fermezza: "Chieggo perdono a tutti e perdono a tutti. Raccomando la Religione e godo di spirare in pace sotto le ali di Maria Santissima di S. Luca".
Soltanto nell'agosto del 1859 i parenti ottennero che le ossa di Ugo Bassi fossero collocate nella tomba di famiglia accanto ai genitori.
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